Il Next Generation EU spiegato bene

Next Generation EU

Un piano per la ripresa dell’Europa. “Per contribuire a riparare i danni economici e sociali causati dalla pandemia di coronavirus, la Commissione europea, il Parlamento europeo e i leader dell’Ue hanno concordato un piano di ripresa che aiuterà l’Unione ad uscire dalla crisi e getterà le basi per un’Europa più moderna e sostenibile”, così la stessa Commissione europea presenta il mastodontico pacchetto di risorse economiche – per un totale di circa 1.800 miliardi di euro (!) –, di cui il Next Generation EU fa parte, per stimolare la rinascita del Vecchio Continente, travolto dalla pandemia di Covid-19.

Il primo passo è stato fatto dalla Banca Centrale europea con il Pandemic Emergency Purchase Program (PEEP), con la quale Francoforte ha acquistato titoli pubblici e privati per la cifra appunto, di 1.800 miliardi di euro. Che non sono però, attenzione, la potenza di fuoco del Next Generation EU. In questi mesi tanto strani quanto difficili, ne abbiamo sentito parlare praticamente ogni giorno, a volte (e non così poche volte) in modo confusionario, confondendo Next Generation EU, Recovery Fund e Recovery Plan.

Bandiera Europa

Cos’è e come funziona il Next Generation EU

Veniamo dunque al punto. Chiamato spesso e volentieri impropriamente Recovery Fund, il Next Generation EU è un piano di 750 miliardi di euro per agevolare la ripresa economica dei ventisette Paesi membri, rilanciare l’economia dell’Unione e, in ultimo, sostenere gli investimenti privati. Dei 750 miliardi, 390 sono sussidi a fondo perduto, mentre i rimanenti 360 sono prestiti a tassi agevolati. All’Italia spetta la fetta più grossa della torta, visto che al Belpaese sono destinati 210 miliardi (128 miliardi in prestiti e 82 mld in aiuti a fondo perduto).

Si tratta di un vero e proprio New Deal europeo che passerà alla storia, sia per le enormi cifre in ballo, sia perché per la prima volta gli Stati membri dell’Ue hanno deciso di fare debito comune. E non è stato facile arrivare a questo punto: convincere i cosiddetti Paesi frugali – ovvero Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia – non è stata una passeggiata diplomatica (eufemismo).

Nello specifico, dunque, Il Next Generation EU sarà finanziato quasi interamente tramite l’emissione di titoli sui mercati da parte della Commissione Europea, presentando come garanzia il bilancio comunitario stesso.

Alt: ovviamente, tutti questi soldi non si possono spendere con libertà, ma bisogna seguire le linee guida decise dalla Commissione, che obbligano i Paesi membri servirsene solo per la digitalizzazione, la riconversione energetica (giusto per dare i principali paletti) e l’inclusione sociale, con particolare attenzione alle future generazionale. D’altronde, altrimenti, non si chiamerebbe Next Generation…

Il Recovery Plan dell’Italia

Ecco allora che entra in gioco il cosiddetto Recovery Plan: ogni governo è chiamato a varate un pacchetto nazionale di riforme per decidere come spendere i lauti fondi del Next Generation EU. Il Recovery Plan italiano, dopo lunghi dibattiti, è stato così approvato: rivoluzione verde e transizione ecologica (67,5 miliardi); digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (45,1 miliardi); infrastrutture per una mobilità sostenibile (32 miliardi); istruzione e ricerca (26,1 miliardi); parità di genere, coesione sociale e territoriale (21,3 miliardi); salute (18 miliardi).

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