Perché la Superlega è una cagata pazzesca

logo-superlega

Da domenica non si parla d’altro. L’improvviso annuncio della creazione della sedicente Superlega europea dei top club ha dominato in lungo e in largo in televisione, in radio, sui giornali cartacei e online e sui social network, riuscendo nell’impresa impossibile di mettere in secondo piano la pandemia di Covid. 
D’altronde se Karl Mark nel diciannovesimo secolo diceva che “la religione è l’oppio dei popoli”, nel ventesimo e ventunesimo secolo si può dire che è il gioco del calcio il “nuovo” oppio dei popoli.

Ma cosa è successo? Ricapitoliamolo brevemente. Dodici società europee (Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Manchester City, Manchester United, Liverpool, Arsenal, Chelsea, Totthenam, Juventus, Milan e Inter) hanno annunciato la nascita di un torneo, la Superlega, appunto, per soppiantare la Champions League, ritenendola competizione ormai vetusta, non sostenibile economicamente e perciò non più appetibile, ovviamente per i loro (torna)conti e non per i loro tifosi. Perché, purtroppo, si sa, tra il calcio-business e il senso dello sport, di mezzo ci va sempre l’amore (tradito) dei tifosi.

Una coppa, un campionato a parte a numero chiuso, d’élite, creato e riservato all’aristocrazia del pallone del Vecchio Continente. Un qualcosa che si pone esattamente agli antipodi della democrazia, della meritocrazia, insomma, dello sport.

Ecco, la nascita della Superleague è stata un fulmine a ciel sereno per come è arrivata, in modo francamente raffazzonato, con una strategia di marketing e comunicazione più che rivedibile. Ma il progetto non era segreto, era in cantiere da anni e i committenti, gli ingegneri e architetti che hanno commissionato l’opera e diretto i lavori sono stati il presidente della Juventus Andra Agnelli e il patron del Real Madrid Florentino Perez; tutte le altre squadre e rispettive dirigenze si sono accodate, eccezion fatta per il Paris Saint-Germain, il Bayern Monaco, il Borussia Dortmund e l’Ajax, che non si può tagliare fuori dal discorso europeo, visto quanto hanno vinto i Lanceri nella loro storia a livello continentale.

Parentesi: questo discorso vale per tutte le altre società, a partire da quelle che, giusto per fare un esempio, come l’Atalanta, hanno fatto il salto da “piccola” a “grande” e si è guadagnata con la programmazione una fetta di paradiso. Paradiso che ora qualcuno gli voleva togliere.
Nonostante abbiano sul campo più diritto di Milan e Inter a giocare a certi livelli, visto che negli ultimi due anni la Dea è andata in Champions e si è comportata egregiamente, mentre il Diavolo non sente la musichetta da quasi dieci anni e il Biscione sono tre anni che esce malamente ai gironi…

All’annuncio della venuta al mondo della Superlega è scoppiato un pandemonio. La Uefa (Unione delle federazioni calcistiche europee) e la Fifa (Federazione internazionale di calcio) hanno urlato al colpo di Stato e lo stesso hanno fatto, per motivi però diversi, i tifosi, sia delle squadre scissioniste, sia di quelle rimaste fuori dall’iniziativa, perché non all’altezza di lor signori. Ma non solo: anche primi ministri come Boris Johnson, Emmanuel Macron e Mario Draghi hanno tuonato contro il golpe calcistico.

Di fronte alla minaccia dell’Uefa e della Fifa di squalificare dalle competizioni continentali e nazionali le società coinvolte, e anche di fronte all’ondata di proteste di piazza dei tifosi – in Inghilterra, come era ovvio accadesse, si sono gremite le strade di fan imbufaliti – è successo l’impensabile, seppur augurabile. Il castello d’orato che i 12 club volevano costruirsi (con 3,5 miliardi di prestito di JP Morgan) è crollato come un castello di carte. Le sei realtà inglesi, una dopo l’altra, hanno fatto un passo indietro e poi, via via, alla spicciolata, si sono accodate con le orecchie basse quasi tutte le altre, chi più chi meno convintamente.

Quello che è successo è imbarazzante e sconfortante. Per il mondo del calcio mondiale in toto, visto che il pallone ha il proprio baricentro nel Vecchio Continente. Per i paperoni del pallone diretti interessati – che rischiano di pagare il prezzo economico e sportivo dello strappo e dell’improvvisato dietrofront – per i tifosi, tutti, traditi per l’ennesima volta.
Perché il calcio, lato sensu, si voleva ulteriormente prostituire al dio denaro, tradendo nuovamente la passione e l’amore di chi, forse per troppo amore, o forse in realtà senza colpa alcuna, ha contribuito a renderlo un business e uno show tale.

Ma il calcio, i campionati, le coppe non possono ridursi semplicemente a business e show – come qualcuno vorrebbe e come in parte già, purtroppo, è – perché altrimenti vale tutto e quindi non vale più niente. E con questa mossa il calcio ha perso valore affettivo. Ed è tanto inutile quanto retorico e fastidioso sentir dire che il “calcio è di chi lo ama o “il calcio è della gente”, perché non lo è più da tanto tempo. Anche se, questo è indubbio, la protesta di piazza oltre Manica è stata decisiva per stoppare la Superlega, così come quella “online” negli altri Paesi.

Certo, il calcio (come altri sport) non è più economicamente sostenibile da anni, forse decenni (forse da sempre!) ma la soluzione, appunto, non può e non deve essere snaturarlo (ulteriormente peraltro) per far quadrare i conti a società che hanno fatto dello spendere e spandere la loro filosofia aziendale, come se in ballo ci fossero i soldi del Monopoli, come se non servisse la programmazione, come se “tanto basta spendere più degli altri per vincere, e altri tanti-troppi “come se…”.

Ovviamente parte della soluzione non può essere quella presa per i fondelli del cosiddetto Fair Play Finanziario, che di “fair”, ovvero “giusto, corretto” non ha proprio niente ed è aggirabile con la facilità con la quale si può rubare le caramelle a un bambino. Anzi, con la facilità con la quale si può annunciare la nascita di una Superlega e poi rimangiarsi tutto in poche ore…!

È giusto cercare di mettere a punto un modello di calcio più sostenibile ma il primo passo dovrebbe essere quello di riscrivere tutti insieme le regole del gioco: non diciamo a quattro mani con i tifosi, ma almeno con i propri colleghi-avversari. Altrimenti non è più sport, ma concorrenza sleale. Altrimenti i tifosi si trasformano ancora di più in clienti, ma in ex clienti traditi, sfiduciati, svuotati. E se i tifosi, con immane sforzo e fatica, riescono a voltare le spalle al calcio e alla propria squadra, per salvaguardare il proprio amore per il calcio e i propri colori, muore il calcio, oltre a morire una parte di loro.
Peccato però che da domenica, nonostante tutto sembra essere rientrato nei “giusti” binari, questa cosa è successa e non si può più tornare indietro.

Prendendo in prestito le parole del ragionier Ugo Fantozzi, perdonateci la licenza poetica e lasciatecelo dire: la Superlega è una cagata pazzesca. E, visto che siamo in tema, una figura di merda. Di cui, purtroppo, però, tutti pagano le conseguenze.

Facebook
Twitter
LinkedIn
Potrebbe piacerti

Fai una ricerca su Elon