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Ecco perché l’Italia (non) è pronta per diventare un Paese cashless

cashless

Parafrasando e ribaltando il titolo di un celebre film dei fratelli Coen, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy (stiamo parlando di Non è un Paese per vecchi), l’Italia non è un Paese per giovani. E anche per questa ragione, tra le tante storture e contraddizioni di questo disgraziato Stato, l’Italia non è ancora un Paese cashless. E chissà quando lo diventerà.

Non siamo (purtroppo) pronti per vivere senza contanti. I cambiamenti e le novità fanno paura, specialmente in Italia. Non è tanto una questione di arretratezza tecnologica – visto che le infrastrutture per la transizione digitale totale della cartamoneta esistono e funzionano pure bene – quanto, piuttosto, un fatto (di arretratezza) culturale.

Pagamento cashless

Vivere senza cash arrecherebbe vantaggi economici mastodontici, ma nonostante il risparmio sia certamente assicurato – a partire, banalmente, da quanto si potrebbe risparmiare tagliando la coniazione delle monete e la stampa delle banconote (circa 7,5 miliardi di euro l’anno) – viene visto quasi di cattivo occhio.
In primis dalla fascia più anziana della popolazione, che nativa digitale ovviamente non è e che non riesce a uscire di casa senza il tintinnio delle monete in tasca, senza un po’ di contante nel portafoglio.
In secundis perché, nel pensiero comune c’è la seguente convinzione: “Le transizioni digitali avvantaggiano le banche, che ci mangiano su”.
In tertiis, la conversione è malvista da tutte quelle “forze” interne al Paese che spingono per mantenere e anche agevolare la circolazione del contante, anche se sanno benissimo quanto quest’ultimo strizzi l’occhio all’evasione. Anzi, proprio per questa ragione!

Un dato: secondo le più recenti stime, indicativamente ogni anno il sommerso è di oltre cento miliardi di euro.

cartamoneta vs cashless

Ecco, il capitolo, o meglio, il libro intero del nero: pagare in contanti l’idraulico che ci viene a sistemare un tubo a casa è certamente vantaggioso, visto che con fattura dovremmo sborsare di più, ma non ci rendiamo conto che così facendo facciamo un danno a noi stessi, al nostro stesso portafoglio, alle casse dello Stato (perché da che mondo e mondo uno Stato si sostiene con le tasse – più alte dove sono in pochi a pagarle, più basse dove le pagano tutti, o quasi. Elementare, Watson!).

Per non parlare di tutti quei liberi professionisti, imprenditori, commercianti, esercenti e via dicendo che si “dimenticano” di fare lo scontrino e si intascano gli euro relativi alla prestazione, mettendoseli in cassa, in tasca. A partire dall’euro del caffè al bar. Pensiamo di essere furbi, ma in realtà siamo solo masochisti, tafazziani.

Pagamento cashless

Risultato? L’Italia primeggia nell’uso del contante ed è ultima in Unione Europea nella classifica delle transizioni digitali, nonostante in questo anno di pandemia, per ovvie ragioni, abbiano fatto il boom. Per la loro praticità, comodità e sicurezza (in tutti i sensi). Nonostante questo, e nonostante tutti i motivi elencati finora, una vita cashless rimane una chimera. Il che è un peccato, soprattutto per le nuove generazioni, perché la stragrande maggioranza dei giovani italiani esce di casa senza spicci o banconote, ma si porta sempre dietro con sé il bancomat e la carta di credito pronti a sguainarli in caso di pagamento. Anche perché, diciamocela tutta, andare ogni volta a prelevare a uno sportello automatico non è esattamente una comodità.

Nel resto del Vecchio Continente e del mondo, invece, sono avanti (sai che novità…!). In Svezia e in Danimarca, nel Regno Unito, in Cina e a Singapore, per esempio, procedono spediti: qui le transizioni digitali hanno superato in numero quelle in contanti e sempre qui si stanno tenendo esperimenti che mirano alla completa migrazione digitale dalla cartamoneta. Nonostante anche qui ci siano resistenze, nonché l’opposizione della fascia più anziana della popolazione.

Insomma, la componente anziana della popolazione rappresenta uno snodo cruciale di tutto questo discorso, ma c’è dell’altro, che è bene sottolineare. Oltra agli anziani, ci sono tutte quelle persone che non hanno un conto in banca, e non si può non considerare anche chi vive in condizioni di emarginazione sociale e povertà, chi ha problemi di salute mentale e disabilità fisiche; per tutti loro l’eliminazione del contante rappresenta il possibile rischio di vedersi ulteriormente esclusi, socialmente ed economicamente.
Non per questa ragione, però, si deve allora lasciar perdere e continuare su questa strada: il cashless conviene, è la “nuova” strada da imboccare, è il futuro. Ma per funzionare bene è necessario che ogni singolo Paese, possibilmente sotto la direzione di organi collegiali (in Europa può esserlo l’Ue e la Banca Centrale Europea), lavorando in concertazione con il sistema bancario, persegua sane politiche di organizzazione e inclusione.
Perché il cashless, nel 2021, non può essere solamente una chimera.

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